La Fiera di Roma Magazine – apr/mag 2012

Canton. La città del Fiume delle Perle

La Cina è un paese immenso, sterminato. Se lo consideriamo in blocco, come fosse un tutto unico, è solo perché abbiamo la tendenza a considerare ogni cosa partendo da un punto di vista smaccatamente occidentale. Ci sfugge così che la Cina non è solo Pechino ma è anche il deserto dei Gobi e le praterie della Mongolia, i monti dell’Himalaya e le acque tropicali del Mar Cinese meridionale: un mondo insomma. C’è anche dell’altro. In Cina si trovano tre città straordinarie che hanno sempre condotto una vita a parte, un’esistenza legata a filo doppio al mare scandita dai traffici e dai commerci e aperta a scenari più ampi, dove si sono incontrate e mescolate razze e culture diversissime. Con storie simili peraltro. Una è Hong Kong, un’altra è Shangai e la terza è proprio Canton.
Canton ha una storia antichissima e ha cambiato nome più volte. Originariamente si chiamava Panyu ma abbastanza presto prese il nome dalla provincia di cui era il centro principale – Guangzhou – e Guangzhou è il nome che ha ancora oggi. Ma allora da dove viene Canton? La storia è piuttosto curiosa perché ha origine dalla storpiatura in francese del portoghese cantão, che vuol dire distretto, zona amministrativa. La storia del nome di questa città ci dice insomma molto della sua natura. Le rotte del commercio sono sempre transitate di qui ma è a partire dal XVI secolo, con l’arrivo dei portoghesi, che le vicende subiscono un’accelerazione vertiginosa. Le spezie, la seta, il tè, l’oppio e tutti quei prodotti che facevano impazzire gli europei non prendevano più le strade carovaniere che hanno fatto la fortuna di Venezia e de Il Milione di Marco Polo: venivano più facilmente imbarcate sui galeoni che circumnavigavano l’Africa. Si chiudeva di fatto un’era e se ne apriva un’altra nella quale Canton diventava porto franco e si apriva ai grandi traffici. Lingue e merci delle varie Compagnie delle Indie si mescolavano sulle banchine del porto e si parlava, oltre al portoghese, anche inglese, olandese, francese, danese, svedese e tedesco. E visto che le culture si incontrano preferibilmente a tavola, non è un caso che la cucina più rappresentativa della Cina sia proprio quella cantonese con il suo uso assolutamente unico di sapori e metodi di cottura diversi. Il fascino di Canton è insomma proprio in questo miscuglio di oriente e occidente, in quell’aria coloniale che non ha mai perso e che si respira tuttora. Per rendersene conto basta andare nell’isola di Shamian (Shāmiàn dǎo), lungo il Fiume delle Perle. Qui l’architettura è indiscutibilmente europea. Ville e hotel si allineano lungo i viali e si ergono a testimoni della vittoria occidentale nella seconda guerra dell’oppio e anche se è vero che L’amante di Marguerite Duras è stato ambientato nell’Indocina francese, le atmosfere sono assolutamente quelle e forse sarebbe il caso di mettere il romanzo in valigia prima di partire. Del tutto diverso lo scenario poco distante. La pagoda dei Sei Banyan (edificata nel 537 d.C. il cui nome fa riferimento a sei alberi di ficus che anticamente vi erano piantati) ci riporta definitivamente in oriente. L’imponente torre a nove piani del tempio di Liu Rong è un cesello di minuti particolari e venne edificata per accogliere una parte delle ceneri del Budda provenienti dall’India. Nel tempio buddista di Hualin si può ammirare la sala dei 500 illuminati mentre all’interno dei giardini del Palazzo di Nan Yue si trovano il mausoleo che custodisce le spoglie di Zhao Mo e il palazzo di Zhao Tuo, fondatore del regno di Nan Yue. L’edificio più noto è però il tempio di Guangxiao del V secolo. Occupa un’area di oltre 31.000 metri quadri e ospita al suo interno ben tre pagode immerse in una nuvola di incensi profumati. Ha ospitato i più importanti esponenti del buddismo cinese e, durante la dinastia Han, la residenza del principe Zhao Jiande. Ma Canton è un microcosmo, s’è detto, e allora qui c’è spazio anche per la cultura musulmana e la moschea di Huasheng, il cimitero islamico e i giardini dell’Orchidea ricordano con le loro belle architetture la presenza di Arabi e Persiani dopo il terribile saccheggio del 758 d.C. durante la dinastia Tang.

La “Fiera di Canton” è la manifestazione fieristica più importante della Cina. Giunta ormai alla 111ma edizione, si tiene dal 1957 due volte l’anno, in primavera e in autunno. Vi vengono esposti una vastissima gamma di prodotti, il meglio della produzione cinese in tanti settori diversi: elettronica e applicativi per la domotica, macchinari e dispositivi industriali, materiali per l’edilizia, prodotti per l’agricoltura, prodotti medicali e di bellezza, oggettistica e molto altro ancora. Le giornate dedicate all’export internazionale sono quelle dal 15 al 19 aprile e quelle dal 1 al 5 maggio.

 

Francoforte sul Meno. La Manhattan di Arminio

Per i tedeschi Arminio è un eroe. È il simbolo dell’orgoglio germanico in un’epoca in cui non solo non esisteva la locomotiva tedesca della Merkel, ma non esisteva nemmeno la locomotiva. Ma chi è Arminio e perché è considerato un padre della patria? È il 9 dopo Cristo. Nella nebbia, facendosi strada a fatica in un bosco fittissimo, avanza una colonna di tre legioni romane. Sono circa quindicimila uomini e sono oltre il punto in cui Reno e Danubio, nella Germania centrale, formano un cuneo aperto verso il nulla, verso quell’est che ha sempre dato grattacapi a Roma e che gli farà venire fortissimi mal di testa quattro secoli dopo. I legionari non sono soli, non è semplicemente una spedizione di guerra: è una marcia di trasferimento, una prova di forza in un territorio di frontiera oltre i fiumi. Ci sono donne, bambini, servi, carri, bestiame: è un lungo serpente che si snoda nella foresta. Li guida Varo, il legato di Augusto, in testa c’è però Arminio, germano di nascita, ufficiale degli ausiliari, e la marcia nella foresta di Teutoburgo è una trappola ben congegnata. La colonna viene attaccata con azioni da commando: piccoli gruppi sbucano dalla boscaglia, colpiscono da lontano e svaniscono in un lampo. Non conta la disciplina, l’ordine ferreo di una macchina da guerra provata da mille battaglie: questo non è il luogo del muro contro muro, si muore senza capire perché e la morte non la vedi nemmeno arrivare. I legionari sono intralciati dai civili, dallo sfilacciamento, dalla lunghezza della linea di comando. E comincia a piovere. L’armatura pesa, un sudore diaccio gela la pelle, si mordono le labbra per tenere il cuore a freno e il sentiero diventa un fiume vischioso di fango e sangue. Alla fine rimarrà un pugno di uomini accerchiati e non si salverà nessuno. Augusto continuerà per anni a strapparsi i pochi capelli e a implorare chi non poteva più rispondergli: “Varo, redde legiones!” – “Varo, ridammi le mie legioni”. Gli americani in Vietnam hanno avuto la stessa sorte. Impossibilitati a dispiegare in una battaglia campale la loro potenza di fuoco, sono stati costretti ad accettare un conflitto di guerriglia che non potevano vincere. Arminio come Ho Chi Minh, o meglio Giap, dunque; Augusto come Lyndon B. Johnson. Eppure, come spesso accade, gli opposti si toccano e oggi Francoforte è molto simile al centro della città più rappresentativa degli USA: New York. Si è ritagliata in verità solo la parte finanziaria di Manhattan, non quella del Greenwich: culturalmente l’anima tedesca abita ancora a Berlino. Sia come sia, la colpa è per così dire ancora yankee. Nel 1944 Francoforte venne rasa al suolo dai bombardamenti a tappeto. Della città dai tetti spioventi, citata per la prima volta da Carlo Magno in un documento della fine del IX secolo, non restava che un cumulo di macerie. Da quella rovina è nata un’altra Francoforte, moderna, futuribile, coi grattacieli in vetro e acciaio che svettano altissimi. Se si vuole provare il brivido di trovarsi in una città del futuro così come l’aveva immaginata Giraud, il purtroppo scomparso di recente Moebius de L’Incal, qui è possibile. La Commerzbank Tower, progettata da Sir Norman Foster & Partners, è alta 259 metri e fino a qualche anno fa era il grattacielo più alto d’Europa; all’interno giardini d’inverno e un innovativo impianto per l’utilizzo di aria e luce naturale. Due metri più sotto c’è la MesseTurm, la torre della fiera. Fra gli altri grattacieli che, nel complesso, formano uno skyline suggestivo quanto quello newyorkese, spiccano la Westendtower, il grattacielo della Dresdnerbank e la Main Tower, uno dei pochi edifici con una piattaforma aperta al pubblico: la vista della città da 200 metri d’altezza è stupefacente. Molti grandi architetti hanno lavorato a Francoforte. La passeggiata sulla riva del Meno, la riva dei musei, è piacevolissima. Sul lungofiume si incontrano uno dopo l’altro l’Architektur Museum di Oswald Mathias Ungers, la galleria d’arte di Gustav Peichl e, soprattutto, il Museum Für Kunsthandwerk, il Museo delle Arti applicate, di Richard Meier, ancora un figlio della Grande Mela. Il talento di Meier è quello di portare all’essenza la materia fino a trasformarla in luce, un minimalismo rigoroso che ti ferisce come un rasoio ma che, d’improvviso, ti seduce come la voce di una bella sconosciuta. Non tutto è andato perduto della storia di Francoforte, qualcosa è stato ricostruito. La casa di Goethe, ad esempio, o il Kaiserdom con la sua torre risalente al tardo gotico e un giardino archeologico contenente ruderi di un bagno romano e resti di costruzioni dell’epoca carolingia. Pur non essendo sede vescovile, il duomo era il luogo deputato alla cerimonia d’incoronazione degli imperatori del Sacro Romano Impero; di qui un bel viale, il Königsweg, conduceva al municipio sul Römerberg che, tuttora, è la piazza centrale della città. Queste gemme di un grande passato convivono in armonia con la dinamicità e le forme della modernità, dove le prime sono idealmente interconnesse alle seconde per mezzo delle tante aree verdi e oasi di relax fioriscono in città. C’è insomma una concezione dello spazio vissuto come intimo, introspettivo e a misura d’uomo che sfocia in una grande calma. E forse è proprio questo il segreto di Francoforte che Meier ha saputo cogliere.

La Light+Building di Francoforte.
È forse la manifestazione della Fiera di Francoforte più vicina allo spirito della città. Light+Building è infatti la più importante fiera al mondo dedicata all’architettura e alla tecnologia applicata. Ogni due anni vi partecipano più di 2000 espositori richiamando oltre 183.000 visitatori fra architetti, interior designer, progettisti, artigiani, ingegneri e rappresentanti di industrie e aziende di distribuzione. I temi su cui Light+Building si interroga e offre soluzioni innovative sono i sistemi di illuminazione, la domotica, l’elettronica, la tecnologia applicata alla scienza delle costruzioni.