Minorca. Il volto selvaggio della bellezza
Minorca ha un’anima che guarda a oriente. Una storia che nasce 3500 anni fa in una terra lontana, sulle coste frastagliate di quella che oggi è la Turchia asiatica ma che un tempo si chiamava Lidia. È uno dei periodi più oscuri della storia. Popoli che si muovono, genti che premono, imperi che crollano, civiltà che nascono. Non se ne sa molto e questo ha alimentato il mistero. Anche i nomi hanno sonorità affascinanti: Shardana, Lukka, Ahhiyawa, Tursa, Shekeles, Peleset, Danuna. Complessivamente vennero chiamati Popoli del Mare e se esiste la nostra civiltà forse lo dobbiamo a loro. Intorno al 1200 a. C. dalle steppe dell’Europa centrale una massa enorme di tribù di lingua indoeuropea calano verso le ricche e opulente coste del Mediterraneo: i Frigi verso l’Anatolia, i Dori verso la Grecia. È la fine dell’impero hittita, il dissolvimento di quello miceneo, e mentre le città crollavano i sopravvissuti a quella devastazione si mettono in mare per cercare un nuovo inizio da qualche altra parte: alcuni di loro ne troveranno uno splendido. Non è certo, ma forse i Tursa erano gli antenati dei Tirreni, gli Etruschi; gli Ahhiyawa e i Danuna, Achei e Danai; Shekeles, i Sicani che approderanno in Sicilia; Peleset i Filistei della Palestina; Lukka i Lidii; Shardana quegli iniziatori della civiltà nuragica in Sardegna che arriveranno anche nelle Baleari, a Minorca. L’isola di Minorca è, per grandezza, la seconda delle Isole Baleari dopo Maiorca. I due nomi derivano dagli aggettivi latini minor e maior e testimoniano, semmai ce ne fosse stato bisogno, la lunga permanenza dei Romani in questi luoghi. La posizione strategica e la particolare conformazione delle coste hanno sempre garantito a queste isole potenza e benessere, ma hanno anche suscitato brame e mire di conquista. A Minorca ogni civiltà ha lasciato un segno del proprio passaggio, nessuno è però mai riuscito a modificare l’aspra bellezza della sua natura selvaggia. L’isola conserva ancora splendidi palazzi e siti archeologici di grandissimo interesse ma è nulla rispetto allo spettacolo delle sue spiagge e ai panorami dei suoi paesaggi: parchi e riserve naturali, aree marine protette, ecosistemi di macchia mediterranea e dune, oltre cinquanta grotte terrestri. È una natura che si manifesta in un incredibile caleidoscopio di diversità: a sud si allungano spiagge di sabbia bianca e mare color turchese orlate di pinete; a nord la sabbia è più dorata, la costa più frastagliata e il mare di un blu più profondo. È quasi impossibile nominarle tutte (sono oltre 75) ma alcune sono davvero di rara bellezza. A sud, Cala Turqueta ha un litorale largo quasi 100 metri, acque tropicali e una splendida pineta; più a ovest la selvaggia spiaggia di Son Saura; Cala Escorxada, Platja Macarella e Cala Fustam sono inserite in magnifiche riserve naturali; Cala Santa Galdana e Binigaus sembrano lembi di un Eden incontaminato; Cala Mitjana, Mitjaneta e Santo Tomas sembrano invece gemme caraibiche trapiantate nel mediterraneo. A nord, le selvagge Cala Pilar, Cala Tirant e Cala Pregonda con dune che arrivano fino al mare; la famosissima spiaggia della Cavalleria dalla sabbia soffice come talco; le scogliere a picco e il piccolo litorale di sabbia e ciottoli di Cala Morell; Cala Carbó, con le spettacolari pareti di roccia erose dal vento. Se poi si considera la straordinaria ricchezza dei fondali caratterizzato da spettacolari grotte sottomarine, non stupisce che Minorca è stata dichiarata “Riserva della Biosfera” dall’Unesco già dal 1993. Minorca è insomma un angolo di Mediterraneo rimasto pressoché intatto, lontano dal turismo di massa e dall’omologazione della modernità. Un’identità che i menorchini rivendicano con grande fierezza conservando gelosamente le loro tradizioni, le loro feste, la loro cucina; anche l’ambiente urbano ha mantenuto una dimensione umana in armonia con la natura: le case sono basse, intonacate a calce bianca, perfettamente integrate nel paesaggio, e non ci sono strade, solo un’unica grande strada che taglia orizzontalmente l’isola e collega Mahon a Ciutadella. Se a volte viene da pensare che questo è un mondo che non riserva più sorprese, un mondo dove la bellezza sembra non trovare più posto e dove l’uomo fa di tutto per distruggere e deturpare ogni cosa, Minorca rovescia l’assunto e si diverte a esistere come splendida voce fuori dal coro: sorride, scuote la testa e si limita a continuare a vivere come ha sempre fatto per millenni.
Minorca a tavola
La cucina dell’isola risente della sua storia e nei suoi piatti riecheggiano gli influssi di tutti i popoli che vi hanno lasciato un segno. A volte anzi i sapori si mescolano per via di quella tendenza tutta menorchina di assorbire e far propria ogni cosa. Il piatto tipico, soprattutto della zona di Fornells, è senza dubbio la Caldereta de Langosta: una zuppa di aragosta tanto semplice quanto gustosa. Altrettanto gustosi sono il Pollastre amb salsa d’ametlles (ovvero pollo in salsa di mandorle), le Polpette di carne, l’Oliaigua e le Formatjadas. Famosissimo è anche l’Ensaimada, il dolce tipico delle Baleari. Il piatto che però dimostra in modo più autentico il carattere indipendente dei menorchini sono probabilmente i Fideuà, che hanno anche una storia curiosa. Si racconta che un giorno alcuni pescatori di ritorno dalle fatiche della pesca decisero di prepararsi una paella ma che, a cottura quasi ultimata, si accorsero di non avere più riso; per nulla persi d’animo, e sicuramente parecchio affamati, decisero di utilizzare un tipo di pasta corta e sottile chiamata Fideo. La ricetta oggi impiega un tipo diverso di pasta e nei fatti risulta una variante della famosa Paella, ma voi, per carità, non chiamatela mai così.