Malesia. Il regno della luce
Nominare la Malesia significa aprire uno squarcio sentimentale. La Malesia per noi è Sandokan, è la storia d’amore fra un principe detronizzato diventato pirata e una fanciulla talmente bella da meritare l’appellativo di Perla di Labuan; è l’eterna lotta di Davide contro Golia dove Golia qui risponde al nome di James Brooke, il Raja Bianco, l’irriducibile avversario privo di scrupoli di Sandokan; è una storia di lealtà e d’amicizia che vede da una parte l’ironia disincantata del portoghese Yanez che il mondo l’ha visto in tutti i suoi aspetti e che sa che nulla dura davvero a lungo, e dall’altra la dimensione di chi come Tremal-Naik si trova a suo agio solo con la semplicità della natura diventandone di fatto una sorta di estensione. In mezzo uomini coraggiosi, uomini meschini, passioni violente, il fragore delle battaglie, ma anche quadri delicati dove la giungla dialoga con l’ornato dei palazzi. Quello che però della Malesia rimane davvero infisso come una spina nel cuore è la luce. La luce in Malesia ha una qualità particolare, ha quasi una sostanza diversa, e si mostra in una molteplicità di aspetti. Il mare ad esempio ha i toni sfolgoranti del turchese, del celeste e dei verdi come spesso è ai tropici, qui però fra i colori è come se si trovassero mescolate minuscole pagliuzze dorate. È quasi una sensazione dolorosa, ferisce nel profondo. La giungla è il regno del verde squillante: intricata, cangiante, con mille lame di luce che la trafiggono dall’alto come in molte altre giungle tropicali, eppure qui lo spessore è incomparabilmente diverso da quello di ogni altra. E il cielo ha una tonalità quasi liquida. È la natura, insomma, la cifra che definisce questo straordinario Paese e non stupisce quindi che la Malesia vanti un numero impressionante di parchi nazionali. Come quello di Gunung Mulu, nel Sarawak, dal 2000 dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità o il Parco di Kinabalu con l’omonima vetta che, con i suoi 4095 metri, è il più alto rilievo di tutto il Sud-Est asiatico. Il più antico e conosciuto è però il Parco Nazionale di Taman Negara dove vivono ancora specie rarissime come la tigre indocinese, il rinoceronte di Sumatra, il gaur malese e l’elefante asiatico. Cascate, piantagioni e foreste sono anche le caratteristiche del paesaggio delle isole fra la penisola di Malacca e il Borneo a cui si aggiunge, ovviamente, lo spettacolo unico dei fondali come a Pulau Sipadan. Bellissima è l’isola di Tioman nel Mar Cinese Meridionale, come pure quella di Penang e l’isola di Melaka. La Malesia è una terra dove anche le differenze trovano una loro composizione armonica, del resto nel corso della sua lunga storia si sono stratificati senza soluzione di continuità elementi cinesi, portoghesi, olandesi e inglesi. La compresenza di culture e religioni diverse fa della Malesia un Paese con un grandissimo numero di feste indu, musulmane e cinesi. Il festival più importante si svolge nella capitale ed è quello di Thaipusam durante il quale i fedeli del dio Subramaniam si recano nei templi indù tra canti e suoni trasportando un arco in legno o metallo ornato, detto kavadis, e si flagellano il corpo per dimostrare la loro fede. Il Wesak Day, il giorno della nascita del Buddha, è festeggiato con riti simbolici, come l’apertura di gabbie di uccelli per rappresentare la liberazione delle anime. Molto seguito è anche il Capodanno cinese, che cade tra gennaio e febbraio, e si festeggia scambiandosi i tradizionali pacchetti rossi chiamati “ang pows” insieme a mandarini e arance. La festa più bella e emozionante è però quella di Deepavaali o “Festa della Luce” durante la quale vengono appese dappertutto lampade a olio per propiziare la dea della bellezza.
Oggi, tuttavia, tutto si amalgama nel segno di una modernità che vede accanto agli altissimi grattacieli di Kuala Lumpur le architetture coloniali dell’antico porto di Melaka. Forse però il dato più caratteristico che testimonia delle grandi diversità di questo Paese è la presenza della tribù le tribù dei Dayak, una popolazione che arriva direttamente dalla preistoria e che vivono sulle rive dello Skrang River, un fiume che nasce nella foresta pluviale non si sa esattamente dove. I Dayak fecero una grandissima impressione in occidente perché avevano l’abitudine di conservare le teste dei nemici uccisi. Per i Dayak, tagliare la testa del nemico significava acquisire gloria e merito in quanto si credeva che la forza vitale dell’uomo albergasse nel cranio. Oggi vivono un’esistenza molto semplice e sono un popolo mite che accoglie tutti con una cerimonia di benvenuto chiamata miring che consiste nell’offerta di cibo e vivande seguita da un brindisi con un bicchiere di tuak, un vino di riso dal sapore molto intenso. L’unico ancora in grado di far perdere la testa.
La mia Malesia amica dell’Italia. Parla l’Ambasciatrice della Malesia
di Rosanna Cicero e Marco Valente
Nel mese di maggio, nella città di Kota Belud, si svolge un grande festival con mercati artigianali e corse di cavalli. Ambasciatrice Datin Paduka Halimah Abdullaha, Lei ha recentemente partecipato alla Mostra Internazionale Roma Cavalli, presso la Fiera di Roma, per valutare l’acquisto di alcuni esemplari da utilizzare in questo festival?
Ho visitato la mostra Roma Cavalli organizzata da Fiera Roma. La mostra mi ha fornito, oltre al piacere di incontrare il Presidente di Fiera Roma, Mauro Mannocchi e lo staff del suo Ufficio Estero, anche l’opportunità di familiarizzare con l’organizzazione di fiere a Roma e con le diverse associazioni che si occupano di cavalli in Italia. La Malesia, in passato, ha acquistato cavalli da altri Paesi e stiamo valutando la possibilità di intraprendere un rapporto commerciale anche con l’Italia.
L’imprenditore malese e il manager, che si spingono sul mercato italiano per instaurare nuovi rapporti commerciali, necessitano di una profonda conoscenza del territorio e delle potenzialità di sviluppo nei vari settori di attività che la Regione Lazio può offrire. In questo senso, come pensa di avviare questo processo di reciproca conoscenza economica e culturale?
Le relazioni economiche e commerciali tra la Malesia e l’Italia sono molteplici, tuttavia vi è un grande potenziale per incrementare i rapporti tra le aziende della Regione Lazio e le associazioni imprenditoriali malesi. Come è noto, la Camera di Commercio di Roma ha più di 6.000 membri in diversi settori imprenditoriali i quali potrebbero iniziare rapporti commerciali ed economici con aziende in Malesia. In considerazione di ciò, a mio avviso, è importante che entrambe le parti conoscano le opportunità di business che esistono nei due Paesi. Le informazioni necessarie possono essere messe a disposizione attraverso scambi di visite aziendali, organizzazione di seminari di lavoro e tavole rotonde, visite a mostre di settore. Da parte dell’Ambasciata della Malesia a Roma, abbiamo organizzato in Italia delle visite di gruppi di lavoro provenienti dalla Malesia e incontri d’affari con imprenditori italiani. Siamo desiderosi di lavorare a stretto contatto con la Regione Lazio per rafforzare ulteriormente le relazioni economiche e commerciali tra le due parti.
E in particolare, quali sono i settori economici della Malesia che possono essere più interessati ad instaurare rapporti commerciali con la Regione Lazio?
Attualmente, l’Italia è al 20° posto come partner commerciale della Malesia a livello globale. Il totale degli scambi della Malesia con l’Italia è del valore di 1,9 miliardi di euro, circa lo 0,7% del commercio globale della Malesia. Le statistiche mostrano che la maggior parte delle esportazioni della Malesia verso l’Italia sono rappresentate da prodotti elettrici ed elettronici, prodotti in gomma e materie prime e, principalmente, olio di palma. Considerando che le importazioni provenienti dall’Italia riguardano principalmente macchinari, apparecchiature, componenti e prodotti elettrici ed elettronici, lo scopo è quello di espandere il range, relativamente limitato, di prodotti importati per includere prodotti a più elevato valore industriale e high-tech. In altri settori economici, le aziende malesi sono diventate partner privilegiati di approvvigionamento soprattutto per i semiconduttori, dispositivi medici monouso, prodotti alimentari trasformati, materiali da costruzione, assistenza sanitaria, istruzione, servizi ICT e ingegneria. In Malesia è cresciuto anche il settore dei servizi. Pertanto, le prospettive per l’incremento delle attività in materia di investimenti e di scambio tra i due Paesi sono molteplici. Vorrei cogliere l’occasione per incoraggiare le aziende italiane, in particolare quelle della Regione Lazio, a visitare la Malesia per prendere visione della capacità delle industrie manifatturiere e dei settori di servizio correlati, così come del settore dell’alta tecnologia. La Malesia è desiderosa di lavorare con l’Italia anche in altri campi: l’automotive, l’automazione, l’industria di precisione, i macchinari di precisione e altre industrie di ingegneria di supporto.
A Suo avviso Fiera Roma, in questo contesto, come può svolgere un ruolo dinamico per lo sviluppo degli scambi con le aziende malesi e la realizzazione di incontri B2B con i vostri buyer, anche attraverso le interconnessioni tra i sistemi fieristici dei nostri due Paesi?
In Malesia gli imprenditori sono interessati a conoscere le possibilità di cooperazione economica e commerciale con le imprese private italiane e noi incoraggiamo le visite di gruppi di imprenditori italiani in Malesia. Fiera Roma, in collaborazione con la Camera di Commercio di Roma e la Regione Lazio, potrebbe coordinare alcune visite presso i nostri distretti industriali, unitamente all’organizzazione di seminari sulle opportunità di business in Malesia e la partecipazione di collettive di imprese laziali di vari settori alle nostre fiere specializzate, al fine di introdurre nuovi prodotti in Malesia. L’Ambasciata della Malesia a Roma, insieme al Malaysia Trade Office (Matrade e Mida), uffici che si trovano a Milano, sono sempre disponibili ad organizzare incontri d’affari o seminari con la Regione Lazio per gruppi di imprenditori italiani interessati a stabilire contatti commerciali con la Malesia
Nell’era della globalizzazione e di cambiamenti geopolitici, come ritiene che la Malesia possa avere un ruolo di attrattore nei confronti degli altri Paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN)?
Le economie dei paesi dell’ASEAN stanno mostrando una forte crescita. Il raggruppamento degli Stati è considerato di grande successo nel mondo e continua ad orientare i propri sforzi verso l’integrazione delle diverse economie. L’ASEAN ha inoltre adottato le misure necessarie per migliorare l’attrazione degli investimenti e l’accordo di libero scambio (AFTA) con i Paesi membri, apportando un notevole progresso nella liberalizzazione delle tariffe interregionali e di alcuni settori relativi ai servizi, facilitando così i rapporti economici e commerciali. Per quanto riguarda la Malesia, nel 2012 è prevista la crescita del PIL dal 3,5% al 4%, nonostante le continue difficoltà economiche globali. In considerazione di quanto precede e, grazie alle procedure che hanno facilitato la cooperazione tra i Paesi dell’ASEAN, ritengo che le relazioni economiche, commerciali e gli investimenti che verranno realizzati in Malesia rappresentino una sicura piattaforma per gli operatori e gli investitori che intendono orientarsi anche verso i mercati degli altri Paesi dell’ASEAN.
A Suo avviso si potrebbe organizzare a Roma un incontro su un settore o alcuni settori specifici insieme ai vostri referenti di Milano, la Camera di Commercio, Regione Lazio e Fiera Roma, al fine di creare un sistema più uniforme, di informazioni attraverso un briefing iniziale di fertilizzazione culturale e, successivamente, organizzare una missione in Malesia, promossa da Fiera Roma, anche utilizzando i vostri servizi fieristici?
Come accennato in precedenza, l’informazione sulle opportunità economiche in Malesia e in Italia sono importanti per entrambi i Paesi. In considerazione di questo, credo che la realizzazione di incontri d’affari o di un forum sulla Malesia offrirebbe reali opportunità per gruppi di aziende della Regione Lazio interessate a la-vorare e collaborare con il nostro Paese. Questi gruppi, coordinati da Fiera Roma, potrebbero in seguito visitare la Malesia per rendersi conto di persona dell’ambiente imprenditoriale, delle opportunità di scambio e delle iniziative economiche di reciproco interesse.
Marsala. Una storia di mare e di terra
Marsala sorge su un promontorio che chiude l’insenatura dello Stagnone da sud. Il fondale è così basso che in certe condizioni si possono raggiungere alcune delle isole più vicine a guado. Il mare per Marsala è insomma il suo liquido amniotico, è l’elemento che nei secoli ha condizionato la sua storia. Marsala ha anche una naturale propensione per l’Africa. Il suo nome antico era Lilybeum, cioè “terra di fronte alla Libia”, e dall’Africa sono arrivati prima i Cartaginesi e poi gli Arabi. Marsa Alì o Marsa Allah fu ribattezzata al tempo della conquista araba della Sicilia. Ma forse niente dice tanto Africa quanto il vento caldo di scirocco che in certi giorni pare porti le voci del deserto. Mare, quindi. Ma anche terra, perché Marsala è legata al suo territorio da una produzione vinicola famosa in tutto il mondo. L’affinamento del Marsala lo si deve agli Inglesi che, nel 1773, importano la tecnica del metodo soleras del Madeira e del Porto. La storia di questo vino è in qualche modo paradigmatica per Marsala, perché è la storia di un intreccio di culture diverse che hanno da sempre costituito l’asse portante di questa città. Il centro purtroppo non conserva molto del periodo precedente alla dominazione spagnola, ma se architetture e palazzi sono scomparsi lo stesso non può dirsi delle tradizioni culinarie che annoverano piatti come il cous cous, la cubbaita e gli sfinci, della toponomastica e delle numerose parole dialettali. La passeggiata in città è comunque piacevole, con musei, palazzi, chiese, monumenti, piazze e teatri. Imperdibile è il mercato del pesce, nel quartiere spagnolo, mentre per gli appassionati d’arte c’è il Parco archeologico di Capo Boeo, i mosaici dell’Insula romana e la grotta della Sibilla Lilybetana. Niente tuttavia regge il paragone con le saline e l’area dello Stagnone. Oggi è un’area protetta, la più grande laguna della Sicilia e una delle più importanti zone umide d’Europa. I mulini dalle grandi pale si stagliano contro il mare; in fondo si scorgono le quattro bellissime isole di Isola Longa, Santa Maria, Schola e Mozia; i cumuli di sale che sembrano candide capanne di giganti. Qui il tramonto è uno dei più emozionanti al mondo: in un attimo l’acqua si accende di riflessi purpurei per via del basso fondale e dai cumuli di sale saettano raggi rosati moltiplicati dalla struttura dei cristalli. Le saline si possono visitare ed è un’esperienza unica: chi pensa sia facilissimo produrre il sale farà in tempo a ricredersi. Una salina è costituita da una serie di vasche in cui l’acqua evapora per irraggiamento solare. Nelle prime vasche, dette evaporanti, si concentra la soluzione, mentre nella vasca finale, detta salante, avviene la precipitazione del sale. Il passaggio nelle varie vasche ha lo scopo di aumentare gradatamente la concentrazione salina e di lasciar depositare le sostanze diverse dal cloruro di sodio. Ogni fase deve essere attentamente controllata perché portare troppo presto l’acqua a una vasca a concentrazione maggiore significa rischiare di far sciogliere di nuovo tutto il sale. Alla fine sul fondo rimane uno strato compatto di sale di 10-20 cm che va frantumato e raccolto in forme piramidali coperte poi da tegole di terracotta. La visita al Museo del Sale è un’esperienza unica. Oltre agli antichi attrezzi e a una mostra fotografica, è possibile ammirare il meccanismo interno di un mulino dove gli ingranaggi sono interamente in legno. Uscendo dal Museo si entra in un’altra dimensione. È quella della riserva umida, un luogo magico dove si rincorrono i richiami di mille specie di uccelli.
Il sale. L’oro bianco
La lunga storia del sale inizia circa 10.000 anni. L’uomo da cacciatore-raccoglitore comincia a trasformarsi in coltivatore-allevatore. L’addomesticamento degli animali e lo sviluppo dell’agricoltura sono collegati perché agli animali serve il foraggio. Il problema è che agli erbivori occorre il sale che, come gli uomini scopriranno, si procurano dove si verificano affioramenti di salgemma. Ora, è stato calcolato che il fabbisogno di sale di un animale alimentato quasi esclusivamente a graminacee è da 5 a 10 volte superiore di quello di un animale allo stato brado. Non è finita. Poiché la disponibilità di derrate (in carne o vegetali) eccede il consumo quotidiano, sorge la necessità di conservarle per i momenti di magra e l’uomo scopre che il sale blocca i processi degenerativi. Così la richiesta di sale aumenta. Ma il sale non si trova così facilmente: i giacimenti di salgemma sono in profondità e in riva al mare devono sussistere alcune condizioni climatico-morfologiche. Si comprende allora come le comunità che controllavano la produzione di sale cominciarono a acquisire sempre più potere. Il sale diventa mezzo di scambio, si paga in sale (di qui i termini “salario” e “soldo”). I poteri forti si dotano di eserciti professionali che vanno mantenuti: i soldati si pagavano in sale un po’ perché era una moneta spendibile anche molto lontano da casa, un po’ perché costituiva il necessario per il primissimo soccorso in caso di ferite, un po’ perché i soldati mangiano – e parecchio anche – e il sale consentiva loro di conservare carni e verdure. Insomma, anticamente controllare le zone di produzione del sale equivaleva a controllare oggi i giacimenti petrolio: oro bianco e oro nero. Una curiosità: perché si getta il sale per allontanare gli spiriti maligni o il malocchio? Bloccare i processi di decomposizione significava in qualche modo sconfiggere la morte, il sale era allora l’unico modo di contrastare il regno delle ombre, di scacciare i demoni che abitavano l’oscurità. Gli egiziani lo sapevano bene perché per mummificare i cadaveri garantendogli l’immortalità usavano un composto a base di sale: si chiamava natron.
Motya. L’ultima base navale dei Cartaginesi
Nel primo pomeriggio, il mare è appena increspato. Ha un colore che i Greci definiscono porpora: il mare colore del vino. Non si muove nulla. L’aria è ferma, sospesa, soffocante; tremola per l’effetto Morgana. È un tratto di mare dalle acque basse, quasi una laguna, in fondo c’è un’isola collegata alla terraferma da una strada rialzata: quell’isola si chiama Motya. Quel giorno d’estate, sugli spalti, le sonnolente sentinelle cartaginesi non credono ai loro occhi: il mare si è coperto di vele. È il 397 avanti Cristo, le navi sono greche e Dionisio di Siracusa ha deciso di farla finita assestando un colpo terrificante. I Greci occupano il porto, i Cartaginesi cercano di forzare il blocco, i Greci li attirano astutamente al largo: per le navi puniche è una battaglia persa, fuggono verso la Libia abbandonando la città al suo destino. Motya è un osso duro. Ha una cinta muraria possente: venti torri quadrate si alternavano a bastioni e camminamenti dai parapetti merlati, l’unica porta di accesso era stata sostituita da due portoni ad arco, uno dietro l’altro, con doppio e triplo sbarramento, e fra le mura e il mare solo una stretta lingua di sabbia. Nessun esercito sarebbe stato in grado di mantenere una testa di ponte sulla battigia: sarebbe stata annientata all’istante. Non quello di Dionisio, perché Dionisio a Motya porta una nuova arma: si tratta della balista, una specie di catapulta capace di lanciare “missili” a punta penetrante a grande distanza. Le difese di Motya subiscono un bombardamento allucinante. Le mura si sbriciolano. Coperti dal fuoco di sbarramento i Greci costruiscono torri d’assedio alte sei piani. Motya non regge più ed è un massacro. Si combatte strada per strada con la forza della disperazione. Mentre gli uomini combattono nei vicoli, donne e bambini gettano tegole e vasi dai tetti. Alla fine di Motya non resta che un cumulo di rovine fumanti. Motya non venne più ricostruita. Andarci oggi significa fare un viaggio del tempo, sembra una città abitata da fantasmi. Passeggiare sulla stretta spiaggia ingombra di ciuffi di posidonia mette i brividi. Il silenzio è irreale: in alto incombono le mura crivellate di colpi, qua e là infissi nella sabbia si vedono ancora i proiettili delle baliste e ci si aspetta da un momento all’altro di sentire urlare in greco “avanzare!” e il cuore arriva in gola perché su scudo, elmo e schinieri le frecce e le pietre del nemico cominciano a strappare lamenti lugubri di bronzo. Vicino all’ingresso c’è un piccolo museo ma vi è conservata la più consistente raccolta di ceramica fenicio-punica della Sicilia. Le sale espongono inoltre una mole impressionante di urne cinerarie e oggetti votivi con dediche a Baal Hammon: sono i reperti trovati nel tophet, l’area sacra dove venivano compiuti i sacrifici. In alcune di quelle urne una macabra scoperta: anticamente i punici usavano ancora sacrificare al terribile dio fenicio non solo animali ma anche bambini. Ma di contro c’è anche l’imponente statua di un kouros, un giovane bello come un Adone.