Seychelles. Il paradiso vi attende
Nelle Seychelles non c’è niente. Niente di niente. È per questo che forse è uno dei luoghi della terra dove vale la pena di andare almeno una volta. Qui l’uomo è solo un ospite. Le onde lente che smuovono la battigia di frammenti di madrepore e coralli sono la musica. Gli screzi turchese, blu e verdi dell’acqua sono i colori sulla tavolozza. Il vento che fa stormire le fronde delle palme, i versi dei poeti. Dov’è l’uomo qui? L’uomo quando c’è, guarda muto e ascolta. Non potrebbe fare altrimenti, e imparare di nuovo a accordarsi a un ritmo che pulsa da almeno 2 milioni e mezzo di anni. Certo, c’è l’industria del turismo, i resort, l’all included, ma con oltre 115 isole bianche e mutevoli come un effetto morgana, il niente è più di quanto la mente sia in grado di afferrare. Cominciare con una delle tre isole principali, più solide perché fatte di granito, è forse la cosa migliore per un primo approccio. Mahé è la più importante, ma solo perché Victoria è la capitale e ha il solo porto di un certo rilievo dell’arcipelago. Quattro case, non di più, un paio di musei, il resto è spiagge e mare. Beau Vallon è una delle più note, ma le più belle sono a ovest: le calette di Anse Soleil e Anse Petite Police sono perle di sabbia bianca incastonate da boschetti di palme. Praslin e La Digue sono gli altri due punti di riferimento, per grandezza, dell’arcipelago. La Vallée de Mai, sull’isola di Praslin, non è una spiaggia ma la sua foresta preisorica fatta di rarissime palme “coco de mer”, ananas, caffè e arbusti di spezie è stata riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. A nord c’è Anse Lazio, forse la spiaggia più bella delle Seychelles. La barriera corallina la protegge dalla furia dell’oceano e onde languide come baci muoiono con un sospiro sulla sabbia candida. La superficie turchese nasconde un mondo variopinto e incredibile di fauna marina. Fauna che, nelle isole più verdi come Bird, Cousin, Aride e Frégate, dove svetta la foresta tropicale e radure di piante carnivore, orchidee, buganvillee, ibischi e gardenie, pullula di migliaia di specie molto rare di uccelli. C’è anche posto per il mistero. Silhouette è un’isola a 20 km da Mahé, con pareti scoscese e vette di granito, ma sono le grotte che si aprono sulle colline a scatenare l’immaginazione. È qui che, si dice, siano stati nascosti dai pirati immensi e favolosi tesori. Le Seychelles danno però il meglio di sé negli isolotti più remoti. Aldabra è uno degli atolli corallini più grandi del mondo, e racchiude un’enorme laguna soggetta alla mutevolezza delle maree. Assomption ha i fondali più incredibili del mondo. È qui che Jacques Cousteau ha girato molte riprese del documentario The Silent World. Ci vivono stabilmente solo degli scienziati e per periodi limitati , affermando che in nessun altro posto al mondo il mare offre acque così cristalline e una così grande varietà di specie tipiche della barriera corallina. Gli unici residenti di Aldabra sono degli scienziati, che per altro vivono qui solamente tre mesi all’anno, ma mettere piede qui significa comprendere appieno il pianto disperato di Adamo e Eva al momento di lasciare per sempre l’Eden. Quel paradiso di cui Milton canterà struggente l’irrimediabile perdita.
Le magie della cultura creola
Indiani, europei, arabi, malgasci, africani: le Seychelles sembrano una di quelle spugne dei fondali che filtrano ogni minuscola particella organica. Assorbono tutto e tutto trasformano. E niente è più come prima. Nella
moutia, la cupa danza tradizionale, i lenti e ripetitivi movimenti dei danzatori replicano le fatiche incessanti nelle piantagioni di africani sradicati dalla loro terra. Ma gli strumenti usati sono i più disparati: banjo, fisarmonica, violino, tamburi africani insieme a malakapo, zez e bom. Il cattolicesimo si innerva sugli antichi riti animisti dei gris, gli spiriti magici. Ma è a tavola che la cultura creola dà il meglio di sé. E qui, nel piatto, la magia si compie con pesci di ogni tipo che convivono con incredibili salse a base di frutta, verdura, erbe e spezie come il daube o la rougaille.
Giamaica. L’isola color cobalto dei Bucanieri
C’è stato un periodo in cui la storia l’hanno scritta i reietti della terra. Anzi, a pensarci bene, forse è sempre stato così. Le colonie greche non venivano fondate da azzimati damerini, ma da duri avventurieri; le legioni di Scipione a Zama erano formate da reparti di punizione, una sorta di sporca dozzina; i crociati di Goffredo di Buglione, un esercito di rozzi energumeni; nella flotta di Francis Drake c’erano più tagliagole che altro, ma l’orgogliosa Invincibile Armada ci ha lasciato comunque le penne. Tuttavia di quanto accadde nei Caraibi, e più tardi nei Mari del Sud, nessuno all’inizio ha mai cercato di rivendicarne la paternità. L’Australia, per dire, è stata considerata per molto tempo poco più di una colonia penale a cielo aperto, abitata da galeotti e prostitute. Una cosa simile, con meno clamore, era avvenuta secoli prima in Giamaica. Alla fine del ’500 nell’isola non c’era rimasto più nessuno degli Arawak originari, così gli spagnoli insieme allo zucchero cominciarono a importare schiavi africani. E i traffici con la madrepatria erano così intensi che la cupidigia di nazioni arrivate nel Nuovo Mondo solo in seconda battuta non trovò niente di meglio da fare che incoraggiare la pirateria e la guerra di “Corsa”. Sbandati, imbroglioni, poco di buono e avanzi di galera seminarono il terrore. Un gruppo di questi, inquadrati in uno sgangherato contingente inglese, fallito l’assalto a Hispaniola, diresse le navi alla volta della Giamaica. E la conquistò. Nonostante una parvenza di amministrazione, l’isola rimase sempre un luogo abitato da criminali d’ogni risma che l’Inghilterra, con molto pragmatismo, nobilitò col nome di Bucanieri. E gli schiavi continuavano arrivare senza sosta dall’Africa. Ma non basta un titolo per trasformare un bandito in un gentiluomo e l’isola è stata sempre attraversata da turbolenze, insurrezioni e rivolte. Sia come sia la Giamaica è figlia di questo periodo selvaggio, aspro, fatto di crimini, lotte e sangue ma anche agitato dalle passioni più intense. Non è un caso che qui l’espressione artistica ha avuto un’evoluzione assolutamente originale. L’incontro-scontro di culture diverse ha prodotto uno stile in cui si fondono l’eredità Arawak, la cultura europea, il simbolismo africano e la raffinatezza asiatica e medio-orientale. Un’amalgama straordinario che si ritrova anche in cucina, nell’artigianato e nella musica: è qui, per fare un solo esempio, che si può cenare con pesce salato e pane di frutta arrostito cullati dalle note della musica reggae. Ma la Giamaica offre anche lunghe spiagge, un mare straordinario, insenature fiabesche e una natura incontaminata fatta di montagne scoscese, cascate e caverne. Blue Lagoon è un buon esempio di quanto possa offrire l’isola definita da Colombo “la più leggiadra che occhi abbiano mai visto: montagnosa… tutta piena di valli, campi e pianure”. La laguna si trova nel Portland, sulla costa nord ovest, e il nome che le è stato dato è un’approssimazione per difetto. È infatti una sorta di piscina naturale profonda circa 60 metri, probabilmente il cratere di un vulcano estinto, dove l’acqua a causa di una sorgente sotterranea sprigiona una gamma di colori che va dal blu intenso al verde smeraldo. Una meraviglia. Ma l’azzurro è in ottima compagnia. A Negril, la “perla dei Caraibi”, si stendono gli 11 chilometri di sabbia bianchissima di Long Bay. Ocho Rios, invece, si affaccia su un’ampia spiaggia a forma di conchiglia – la Turtle Beach – orlata da colline coperte da una lussureggiante e verdissima vegetazione tropicale. All’interno fiumi tortuosi e cascate. Ma se proprio si volesse scegliere un colore, forse sarebbe il rosso-arancio dei suoi incredibili tramonti, sarete in buona compagnia: Errol Flynn e gli attori di Hollywood degli anni ’30 e ’40 aleggiano ancora da queste parti.
Un mondo più giusto fra reggae e dreadlock
A Kingston, la capitale, c’è un luogo che in pochi anni è diventato il più visitato della dell’isola: il Bob Marley Museum. E chi mette piede in Giamaica, a qualsiasi titolo, non può prescindere da un incontro col re del reggae. La musica di Marley, infatti, la si ascolta in ogni angolo ed è difficile non pensare a quanto il reggae abbia influenzato la musica in ogni parte del mondo. Lo riconosce anche una star del calibro di Sting, che con i suoi Police ha attinto a piene mani nel patrimonio musicale di questa originale fusione di ska, mento, calypso con il R&B e il soul americani. Ma Bob Marley era molto di più di uno straordinario musicista. In patria è considerato una guida spirituale, un leader politico, e nel mondo il riconoscimento ai suoi testi che parlano di amore, pace e lotta contro ogni forma di ingiustizia gli ha valso nel 1978 la medaglia della pace dalle Nazioni Unite.