Birmania. Una terra fuori dal tempo
A cercare Birmania sulle carte geografiche si rischia di fare un buco nell’acqua; si avrebbe maggior fortuna con Myanmar, che oggi è in effetti il suo vero nome. E non è finita qui. La capitale era a Yangon, che prima era conosciuta come Rangoon, poi è stata spostata a Pyinmana che, per l’occasione, ha cambiato nome in Naypyidaw. Gli esempi potrebbero continuare e ci sarebbe da perderci la testa. Ma perché è così? Da cosa deriva questa ridda di nomi? Il fatto è che in tutto il sud-est asiatico non c’è nazione più irrequieta, vitale e ricca di contrasti di Burma, nemmeno il Vietnam o il Laos sono così. Notato? Abbiamo utilizzato un altro nome, stavolta però è per affetto, deriva dal colloquiale Bama e forse è quello che più si addice a questo straordinario lembo di mondo. La Birmania è il Paese più vasto del sud-est asiatico e tutto si svolge in funzione di un fiume. L’Irrawaddy nasce nel Tibet e dopo un percorso di 2.000 chilometri sfocia nell’Oceano Indiano dividendo in due metà il territorio. Lungo il corso d’acqua e nelle pianure alluvionali sono sorti nei secoli gli insediamenti birmani: villaggi e pagode che stillano come gemme dagli argini sfruttando i doni fertili del grande fiume. Ancora oggi, in piena modernità, più dei due terzi dell’intera popolazione del Paese vive qui, a ridosso delle sue sponde. La vita prende allora i ritmi del fiume e della natura. Le feste tradizionali, ad esempio, seguono il calendario lunare e non hanno giorni fissati. Nei villaggi di campagna a febbraio si celebrano le feste del raccolto; la festa dell’acqua, che somiglia molto al nostro Carnevale, dura tre giorni e si svolge generalmente in aprile; nel mese di luglio c’è la suggestiva festa delle luci per celebrare con canti e balli il ritorno di Buddha dalla casa dei Deva, gli dei hindu minori, e per l’occasione ogni casa viene illuminata; per finire, ma si fa per dire, ci sono le feste delle pagode che iniziano a gennaio e terminano in estate. Il primo incontro con la realtà birmana è a Yangon, l’antica capitale, nei pressi del delta dell’Irrawaddy. Yangon è una delle città più affascinanti dell’Asia perché ha conservato molto delle caratteristiche originarie. La giungla che si insinua nei quartieri, le centinaia di bancarelle che vendono cibi lungo i viali, gli odori pungenti, un’umanità colorata, sorridente e cortese. Sulla collina svetta la cupola dorata alta 98 metri della Shwedagon Paya che al tramonto si incendia di bagliori arancio: è il luogo di culto più importante del Paese e i birmani vengono qui a pregare almeno una volta nella vita. Anche Kipling rimase ammaliato dalla sua magia e dal profondo senso di religiosità che emana e la definì “una stupenda meraviglia scintillante”. Da non perdere la colossale statua del Buddha reclinato della Chaukhtatgyi Paya, alta 17 metri e lunga ben 72. Viaggiare in Birmania significa riportare indietro le lancette della storia di almeno qualche secolo e lo si capisce bene a Mandalay, punto di partenza per conoscere il vero volto di questo Paese. Dal monastero Shwenandaw Kyaung la vista è stupenda: si apre sulle colline, sorvola il letto del fiume – ancora lui l’Irrawaddy – lambisce risaie e carri trainati da bufali e lascia intravedere nel verde squillante della pianura le antiche città di un grande passato. A Amarapura si trovano il monastero di MahaGanayon Kyaung, la Sagaing Hill con vista eccezionale sugli oltre 500 stupa e l’U Bein’s Bridge, un ponte pedonale in tek lungo 1,2 km che attraversa il lago Taungthaman. La città più bella è però dall’altra parte del fiume e si raggiunge solo in barca: è Mingun, con la campana sospesa più grande del mondo e il magnifico stupa Myatheindan. Il paesaggio verso sud è un caleidoscopio di scene fuori dal tempo ed è il modo migliore per prepararsi psicologicamente all’incontro più emozionante di Burma: la città perduta di Bagan, una pianura di 42 km quadrati dove svettano circa 5000 edifici sacri. Si resta attoniti di fronte a uno scenario di così rara bellezza e tanta struggente solitudine. Una sensazione che sarà difficile dimenticare.
La città sacra di Bagan
Bagan è testimone silenziosa di un’immane catastrofe. Nel 1287 un’orda di cavalieri mongoli su ordine di Kublai Khan si dirige sulla città. I preparativi sono febbrili, c’è poco tempo. Bagan allora era una città potente, rispettata e temuta sia dall’Impero Cinese che dai regni Khmer. Fra l’XI e il XIII secolo era diventata anche un importante centro religioso e 13.000 templi alzavano le guglie dorate al cielo. Ora però alcuni di quei templi venivano abbattuti: serviva materiale per alzare mura, erigere torri, fare qualcosa insomma che servisse a arginare quella marea montante. Non si fece in tempo. La cavalleria mongola dilagò in città: saccheggi, violenze, soprusi, la solita storia insomma. Bagan non si riprenderà mai più. Visitare oggi questa città significa fare uno sforzo notevole di immaginazione perché, nonostante siano rimasti intatti meno della metà degli edifici originari, l’impatto è impressionante. Ci si chiede cosa abbia pensato davvero Marco Polo visto che Bagan è sì descritta nel Milione, ma la prosa è attonita, sbigottita. Due sono le principali strutture architettoniche che si trovano nella zona di Bagan. La pagoda, o stupa, e il tempio. Lo stupa (in birmano Zeidi o Zedi o, a volte, Paya) in origine era un cumulo di pietre che fungeva da monumento funebre, solo più tardi ha acquisito il simbolismo cosmico del Buddha. La forma è quella di una campana su base quadrata o ottagonale alla cui sommità svetta una guglia in metallo dorato decorata con gioielli. Le pagode più belle a Bagan sono quelle di Bupaya, Shwezigon, Mahabodhi, Nag-Kywe-na-daung, In-hpaya, e Minochantha. Il tempio invece poteva avere forme diverse, diversi ambienti disposti su più piani e spesso inglobava uno stupa. A Bagan sono assolutamente da vedere quelli di Ananda, Dhammayangyi, Gawdawpalin, Htilominlo. Shwegugyi, Sulamani e Thatbyinnyu.
Thailandia. Un mare color smeraldo
Se si chiede a un esperto di pietre preziose qual è la caratteristica principale da prendere in considerazione per stabilire quanto preziosa una gemma sia, risponderà la luce. E la luce che una pietra preziosa è in grado di convogliare dipende dalla natura della pietra e dal taglio, e qualche volta è addirittura più importante della grandezza. Per dirla con Callimaco, meglio la qualità che la quantità. Ora, prendete uno smeraldo dalla purezza eccezionale, fatelo tagliare da un vero artista, uno che con la mente riesce a vedere quali e quanti piani ricavare dalla superficie per strappare alla luce una gamma infinita di verdi liquidi diversi: quello che otterrete è un miracolo, eppure nemmeno questo miracolo riesce a eguagliare l’incredibile varietà dei colori del mare thailandese. Certo, la Thailandia non è solo mare e disertare Bangkok tralasciando di visitare il Maha Monthien, il Chakri Maha Prasat, i giardini di Siwalai, i templi buddisti o i Klong, i canali del mercato, sarebbe davvero un delitto imperdonabile, ma siamo qui per il mare di smeraldo e la rotta è verso sud, dove la terra si assottiglia in una stretta striscia fino alla Malesia. Su entrambi i lati isolotti, spiagge e palme da cocco si ritagliano gocce di colore in un mare dai toni incredibili. Al largo di Surat Thani, nel Golfo del Siam, c’è la celebratissima Koh Samui. L’isola potrebbe essere da sola un buon motivo per decidere il viaggio. Una natura esuberante, sabbia bianchissima, acque cristalline, locali: non c’è ora del giorno o della notte in cui Koh Samui non abbia qualcosa da dire. Le spiagge di Hat Lamai e del Grande Buddha¸le cascate di Na Muang e di Hin Lat, il parco marino di Ang Thong, Chaweng Beach con la sua lunga teoria di locali notturni, negozi e alberghi. Più intime, ideali per gli appassionati di diving e snorkeling, le vicine isole di Koh Tao e Koh Phangan dove ogni mese, sulla spiaggia di Haad Rin, si balla fino all’alba al “Full Moon Party”. Nel Mare delle Andamane, a ovest del golfo, si trova l’isola di Phuket e se il paradiso avesse diritto di cittadinanza sulla Terra allora si chiamerebbe così. Phuket ha spiagge incomparabili, splendide insenature, acque cangianti e una vitalità esuberante. È collegata alla terraferma dal ponte di Sarasin e, oltre al mare, ha anche un interessante centro storico a Phuket-Town. È al largo però, nell’arcipelago di Phi-Phi, che si varcano i cancelli dell’Eden: Phi-Phi Don è una piccola perla costituita da due isolotti collegati da un istmo. La notorietà è arrivata, come spesso capita, grazie a un film: è proprio qui infatti che è stato girato “The Beach”, con Leonardo di Caprio. Seduti sulla battigia e lo sguardo perso sull’orizzonte viene da pensare che non è stato necessario operare alcuna color correction alla pellicola, anzi, che paradossalmente a Phi-Phi Don la realtà è di gran lunga più sfolgorante di qualsiasi fantasia cinematografica.
Spiagge e itinerari del sud
In tanta meraviglia è facile perdersi, ecco allora un panorama dettagliato e ragionato dei luoghi assolutamente imperdibili del sud thailandese.
Koh Samui
Chaweng, con i suoi oltre 5 km di sabbia bianchissima, è la spiaggia più famosa dell’isola e anche quella dove si concentra la maggior parte delle strutture ricettive e della vita mondana dell’isola. Simili sono le vicine Choeng Mon e Lamai che però a detta di molti dispone di una spiaggia più bella. Lungo la costa settentrionale si trovano Bophut e Maenam da cui è possibile raggiungere le isole di Koh Phangan e Koh Tao. A poca distanza si trova Bang Rak, la spiaggia del Grande Buddha, dove una visita al tempio è d’obbligo. Di fronte al Parco Marino di Ang Thong, lontano dai clamori della vita notturna, c’è l’incanto tropicale di Taling Ngam: sabbia impalpabile, acque trasparenti venate di verde, il limitare della giungla e, visto che guarda a occidente, un tramonto da sogno. A Hua Thanon, lungo la costa orientale, si trova uno dei luoghi più caratteristici dell’isola: un villaggio di pescatori dove si tiene un famoso mercato del pesce. Nei pressi la splendida spiaggia di Laem Set.
Koh Phangan
L’isola dista solo 20 km da Koh Samui e non disponendo di aeroporto è raggiungibile solo via mare. Questa condizione, unita al fatto di essere del tutto sprovvista di strade asfaltate, ha fatto sì che Koh Phangan sia meno frequentata dal turismo di massa e abbia mantenuto una natura più selvaggia. Molte delle sue spiagge, ad esempio, sono accessibili solo in barca o con il fuoristrada. Le più belle sono: a sud Wok Tum, Plaay Laem, Ban Tai, Ban Khai, Haad Rin Nai, Haad Yuan e Haad Rin Nok – la spiaggia del “Full Moon Party”; a nord Haad Sadet, Thong Nai Pan Noi, Thong Nai Pan Yai, Bottle Beach, Hin Kong, Haad Son, Mae Haad e Chaloklum; a ovest Haad Yao, Haad Thian; a est Haad Salad, Haad Nam Tok, Haad Thian e Haad Yao.
Phuket
Le spiagge più belle e frequentate si trovano nella parte sudoccidentale e dalle strade tortuose lungo la costa si gode una vista mozzafiato sulle acque verde e azzurro del mare delle Andamane. Patong è la spiaggia più famosa e mondana dell’isola; simile ma meno frenetica Karon Beach. Poco più a sud c’è la tranquilla baia di Kata, molto apprezzata dalle famiglie, che frequentano anche Kamala Beach. Proseguendo c’è il promontorio di Emerald Beach e la deliziosa Paradise Beach. Di natura più esclusiva sono Surin Beach, Pansea Beach e Bang Tao Beach. Nai Yang è nei pressi dell’area protetta di Sirinath National Park e offre un litorale di ben 10 km. Per finire, Naithon Beach, uno dei gioielli nascosti e poco frequentati di Phuket: alla sua solitaria spiaggia bianca ci si arriva attraversando in auto colline lussureggianti e valli incantate.