Phuket. L’isola dell’armonia
La parola malese a cui deve il nome è Bukit, collina: strano epiteto per un’isola che è considerata un vero e proprio eden dagli amanti del mare. La cosa invece non deve stupire, perché Pukhet è un’isola dai contrasti forti. Un crinale di colline la taglia in due: a occidente spiagge bianche e acque color smeraldo, a oriente le aree umide dove dominano le mangrovie e al centro una foresta lussureggiante, costellata di splendide cascate. L’isola di Phuket è la più grande della Thailandia e si affaccia sul Mare delle Andamane e sull’Oceano Indiano. Il suo splendido isolamento nel corso dei secoli e l’attuale autonomia dalla capitale Bangkok le ha permesso di conservare i suoi tratti thai più autentici. Basta fare una puntata ai villaggi dell’interno o a quelli di pescatori per rendersene conto; da non perdere a questo proposito quello degli “zingari del mare” a Rawaii, che conserva nel nome traccia del primissimo insediamento storico dell’isola. Ma è il mare la grande attrattiva di Pukhet. Spiagge dalla sabbia finissima e bianca, il Mare delle Andamane che si accende di ogni sfumatura di colore fra il trasparente, il verde, il turchese e l’azzurro, la vita che prorompe incontenibile fra i coralli. Non è un caso che questi luoghi sono da sempre nella top ten delle destinazioni che hanno per oggetto le immersioni. Le spiagge più belle si trovano nella parte sudoccidentale dell’isola, nei pressi di Patong, e si estendono fino all’estrema punta sud. Stilare un elenco delle più belle spiagge di Pukhet è davvero arduo. Ao Sane è un’oasi tranquilla, una piccola spiaggia bianca perfetta per rilassarsi e praticare snorkeling nelle acque antistanti. Un po’ più mondana è Bang Tao, molto frequentata ma mai davvero affollata. A Nai Harn sembra di vivere nel film Laguna blu visto che il gioco delle maree crea una suggestiva piscina naturale; nei pressi un piccolo tempio. Altro luogo da non perdere è Nai Yang, una bella baia orlata dalla foresta che fa parte del Parco Nazionale e Santuario delle tartarughe. Per i patiti del surf c’è Kata, e nonostante il periodo migliore per visitare Pukhet sia da novembre a marzo, qui bisogna venire durante la stagione delle piogge se ci si vuole confrontare con onde serie. Poi, sì, d’accordo, c’è anche Patong. Per chi vuole anche vivere la Pukhet by night non c’è alternativa. Ambiente cosmopolita, i locali alla moda di Bangla Road, una spiaggia che più glam non si può: insomma, consigliata a chi ama fare le ore piccole. E per i romantici alla caccia del “raggio verde”? Phrompthep Cape, il “Promontorio”, uno degli scorci più fotografati di Pukhet.
Anche se l’attività principale di chi sceglie Pukhet è il mare, l’isola riserva altre attrattive che sarebbe davvero un peccato perdere. Intanto l’interno offre molte possibilità di effettuare escursioni. Trekking alla volta delle cascate, bellissima quella di Tonsay, ma anche avventurosi safari fotografici a dorso di elefante. Poi le splendide residenze coloniali sino-portoghesi di fine ‘900, i mercati all’aperto e le botteghe di Phuket Town, la sede amministrativa dell’isola. Tuttavia una puntata al Pukhet Fantasea a Kamala bisogna proprio farla. È considerato il più grande spettacolo culturale a tema. Qui ballerini, illusionisti, acrobati, spettacoli pirotecnici, effetti speciali e oltre 30 elefanti danno vita a uno spettacolo che unisce la cultura thai a Las Vegas. Assolutamente da vedere.
Templi
Wat Pra Tong
All’interno della spiaggia di Nai Yang c’è il tempio Pra Tong dove viene venerata una famosa statua del Buddha che ha la caratteristica di essere interrata a metà. Secondo la leggenda un ragazzo incatenò il suo bufalo a un palo che sporgeva dal suolo. Sia il ragazzo che il bufalo si ammalarono misteriosamente. Sospettosa, la gente del villaggio scavò il terreno circostante e scoprì che il ‘palo’ era la cresta decorativa di una statua dorata del Buddha. Riuscirono a portare alla luce solo la sua parte superiore e così vi costruirono il tempio intorno. Gli invasori Birmani tentarono di rimuoverla nel 1785 ma vennero attaccati da uno sciame di calabroni. La credenza vuole che la statua abbia poteri magici .Tutti quelli che hanno provato inutilmente a dissotterarla hanno avuto un destino sfortunato.
Wat Chalong
Situato a sud di Phuket Town, vicino alla baia di Chalong, è il più grande ed elaborato tempio dell’isola. Importante la sua pagoda, la prima nella regione delle Andamane ad ospitare un frammento d’osso del Buddha, e la straordinaria stanza che ospita 108 statue dorate del Buddha.
Ice Climbing. Arrampicare su una parete d’acqua
Si può dire quel che si vuole, ma immaginare di salire passo dopo passo su una superficie che da un momento all’altro potrebbe trasformarsi in una cascata d’acqua fa sempre un certo effetto. Non è così, ovviamente, perché la parete è di ghiaccio compatto, ma la sensazione di avere a che fare con qualcosa di estremamente mutevole rimane. Fra le diverse discipline dell’arrampicata libera, quella su ghiaccio, su cascate ghiacciate o pareti rocciose ricoperte di ghiaccio, è sicuramente tra le più affascinanti. Intanto la parete di arrampicata non è mai la stessa: si può andare ogni anno nello stesso posto e non trovare mai le medesime condizioni perché l’acqua gela sempre in modi differenti. Inoltre, nel caso delle cascate, anche la portata d’acqua può variare di anno in anno e ci si può trovare di fronte a colonne di ghiaccio possenti come quelle di una cattedrale là dove l’anno precedente la parete era percorsa solo da trecce ritorte. E poi la consistenza cambia in base alla temperatura, alla composizione dell’acqua, e il ghiaccio può essere soffice, duro, fragile o resistente: insomma arrampicare su ghiaccio rappresenta una vera sfida. L’ice climbing non è però, come si potrebbe pensare, uno sport estremo, pericoloso o adatto solo agli specialisti. Certo, come tutti gli sport della montagna va praticato rispettando le dovute norme di sicurezza e sempre in compagnia di una persona esperta, senza improvvisarsi Messner da un giorno all’altro, ma anche dopo un breve corso si possono avere grandi emozioni. Proviamo a immaginare. Bianco è il colore dominante del paesaggio, e lo scenario non potrebbe essere più invernale di così. L’atmosfera è rarefatta, il silenzio è rotto solo dal respiro e dal metallo che penetra nel ghiaccio; concentrazione, tensione; la superficie di ghiaccio riverbera di mille suggestioni e la luce strappa ai cristalli immagini caleidoscopiche. Sembra davvero che dietro la parete, a un passo, ci sia il mondo incantato e ovattato della Regina delle Nevi. Poesia a parte, rimane però la tecnica che è molto particolare. Il problema principale è la trazione su una superficie che non offre appigli. E poiché la natura non ci ha forniti del necessario, non rimane altro che, è il caso di dirlo, aguzzare l’ingegno. Due sono allora gli attrezzi assolutamente irrinunciabili per arrampicare su ghiaccio: la piccozza e i ramponi. La prima è l’attrezzo fondamentale per la progressione su superfici innevate o ghiacciate. Nata dalla fusione tra il classico bastone da neve usato come sostegno e l’accetta usata per tagliare i gradini nel ghiaccio, oggi la piccozza è un attrezzo tecnologicamente avanzato, in acciaio o titanio, la cui forma può variare anche di molto in base agli impieghi. I ramponi sono storicamente successivi alle piccozze. È del 1909 il primo vero rampone a 10 punte ideato dall’alpinista Oscar Eckenstein. Oggi si usano normalmente ramponi a 12 punte e, come nel caso delle piccozze, vengono prodotti in diverse fogge e varianti fra cui è possibile scegliere quelli più adatti al tipo di ascensione da effettuare. Il resto dell’attrezzatura, a parte i chiodi a vite per fissare le corde di sicurezza, e dell’abbigliamento è quello usuale per il periodo invernale.
Ice Master in Valle di Daone
La decima edizione dell’Ice Master World Cup, la competizione internazionale di arrampicata con piccozze e ramponi più famosa del mondo, vedrà anche quest’anno la presenza della Valle di Daone. Non è infatti la prima volta che la località trentina viene scelta ufficialmente dall’UIIA come sede di una delle tappe del circuito mondiale. Dal 15 e 16 gennaio i migliori arrampicatori su ghiaccio si disputeranno il primato cimentandosi nelle gare di difficoltà e in quelle di velocità. Un’occasione per gli appassionati di tutto il mondo per conoscere le bellezze paesaggistiche della valle e le sue meravigliose cascate di ghiaccio.
Santo Domingo. La vita a ritmo di merengue
Se esiste un luogo che rappresenta il passaggio fra due epoche storiche, questo è senz’altro Santo Domingo. È il 1492. Cristoforo Colombo sbarca su una delle sue spiagge bianche come l’avorio e il mondo non sarà più lo stesso. Santo Domingo, col nome di Hispaniola, è stata la prima colonia spagnola del Nuovo Mondo e molte delle sue attrattive risalgono proprio a quel periodo, tanto che la città coloniale è stata inserita già nel 1990 nella lista dei Beni Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Dal punto di vista politico l’isola, la più estesa dopo Cuba delle Grandi Antille, rispecchia una divisione che risale ad alcuni secoli fa: da una parte la Repubblica Dominicana, dall’altra Haiti. Oggi Santo Domingo grazie al turismo sta cercando di risollevarsi dopo un periodo oscuro e il fatto che sia diventata una delle destinazioni preferite dei Caraibi sta lì a dimostrarlo. Non si possono nominare i Caraibi senza che nella mente si affollino immagini da Paradiso Terrestre: spiagge bianchissime, acqua cristallina, palme, una vita scandida dai ritmi lenti e la gioia del corpo che si libera nella danza. Tuttavia Santo Domingo ha molto più di questo da offrire. Passeggiare nella zona coloniale, ad esempio, restituisce emozioni intense. Qui sembra che il tempo si sia fermato: palazzi in stile gotico e moresco, l’acciottolato delle vie, le corti. Appuntamenti irrinunciabili sono senza dubbio La Fortaleza, e l’Alcàzar de Colòn, cioè il Palazzo di Colombo in Plaza de Spagna. Da una delle vie principali di Santo Domingo, calle El Conde, si arriva di fronte alla Cattedrale, il primo edificio di culto importante del Nuovo Mondo. La piazza, orlata di facciate coloniali, fa parte del Parque Colón ed è frequentatissima perché rappresenta il punto di incontro degli abitanti della zona. Nelle botteghe di artigianato dei dintorni è possibile anche fare piccoli acquisti., ma forse per lo shopping è più adatto il Mercato Modelo: un caleidoscopio di suoni e colori che non ha eguali, da visitare anche se non si comprerà nulla ma sarà molto difficile resistere alla tentazione di contrattare sul prezzo quadri caraibici (dominicani e haitiani), piccoli oggetti creoli, rum e sigari, e gioielli d’ambra. Per chi non può fare a meno della musica, una passeggiata al Malecón è d’obbligo: sul lungomare è facile imbattersi nelle note del merengue e della bachata. A Santo Domingo ci si va però anche per il mare. Non lontano dalla città si trova la spiaggia di Boca Chica, frequentata soprattutto dai dominicani nel fine settimana. Qui è da vedere il Parque Nacional Submarino La Caleta che rappresenta una delle scelte migliori per le attività subaquee. Nella zona orientale si trovano le famose spiagge di Bayahibe e Dominicus, più in là è Punta Cana, con i suoi oltre trentacinque chilometri di sabbia bianca e acque turchesi. A ovest si trovano le spiagge di Salinas e di Palmar de Ocoa, ideali per la pratica del windsurf, mentre a sud si può scegliere fra San Rafael, una sorta di piscina naturale, Playa Paraiso, che già nel nome promette molto, e l’incantevole Quemaitos. Per chi è però alla ricerca di emozioni forti non c’è che dirigersi verso la Penisola di Samanà. Nel periodo di febbraio, la baia è meta delle grandi balene che qui vengono ogni anno per riprodursi. Si noleggia una barca e ci si arma di macchina fotografica e tanta pazienza. L’attesa è però ampiamente ripagata: avvistare una coppia di balene alle prese con quella che si può definire una danza di corteggiamento è una delle esperienze più forti che si possono vivere. E se si è davvero fortunati si può anche assistere a uno dei loro balzi prodigiosi fuori dall’acqua. Che siano proprio le balene di Samanà ad aver ispirato le movenze sensuali del merengue?
Il Ron, l’ambra dei Caraibi
Il Rum, o meglio il Ron, è una delle istituzioni dei Caraibi, insieme al merengue, alla bachata e alla salsa. Come è noto, il Ron è un liquore di distillazione ricavato dalla fermentazione della canna da zucchero. Ogni isola dei Caraibi ne rivendica la paternità, ma forse la verità è che hanno tutti ragione perché ci sono molte differenze fra un Ron cubano e uno dominicano, ad esempio. La cosa non deve stupire, è un po’ come con gli whisky di malto: non ce n’è uno uguale all’altro. Dipende dall’acqua, dalla qualità della canna da zucchero, dai processi di lavorazione e invecchiamento. Un bicchiere di Ron reposado da sorseggiare sigaro alla mano di fronte al mare, è una delle immagini più suggestive. Ma lo è anche un coctail esotico sostenuto dai ritmi del merengue.
Sanremo. La perla della Riviera dei Fiori
Sanremo è un luogo multisensoriale. Un crocevia di emozioni dove si perde il contatto col già provato per arrivare a nuove consapevolezze. Ogni senso qui trova mille motivi per perdersi in dimensioni inattese. I profumi, innanzitutto, perché Sanremo è per certi versi una città olfattiva. Il mare mitiga e aggiunge una nota salina alla brezza del nord che, superate le colline, perde ogni rigidità e si mitiga con il profumo dei limoni, delle piante tropicali, delle rose. Passeggiare nella zona vecchia, quella della Pigna, avvolti da fragranze che giungono da giardini nascosti, è un’esperienza indimenticabile. E forse è proprio da qui, dal punto che per secoli è stato il cuore antico della città, che bisogna partire per scoprire la verità più autentica della “città dei fiori”. Il nome di Pigna gli deriva da una curiosa conformazione dell’abitato che, strato dopo strato, proprio come le squame di una pigna, si inerpica verso l’alto in un intreccio di stradine, piazzette e case addossate a contrafforti. I colori degli intonaci e il silenzio le donano un’aura quasi sacrale, d’altri tempi, e il percorso, da Porta San Sebastiano fino al santuario della Madonna della Costa, si dipana in mille scorci nascosti. Continuamente ampliata e rafforzata dal medioevo fino al ’500, la Pigna con le sue mura, i portali scolpiti, gli archi che vanno da casa a casa, le porte e le torri, rivela la sua natura di borgo fortificato nato per offrire riparo alla popolazione tormentata dalle frequenti incursioni piratesche. Fra queste costruzioni spicca fra tutte la Torre della Ciapella, in piazza Eroi, con dei muri spessi un metro. Parlare di Sanremo senza nominare l’aspetto floreale è tuttavia quasi impossibile, anche quando si parla d’altro. Oltre alla zona medievale, infatti, uno dei tratti più caratteristici e rappresentativi della città è dato dal Liberty. Durante il periodo della belle époque, infatti, Sanremo vive una stagione esaltante. Lungo Corso degli Inglesi, palazzi, grandi ville e alberghi si abbigliano di quello stile architettonico che, fra fregi, decori raffinati e lussuosi arredi, segna un’intera epoca. Oggi la maggior parte di questi edifici è chiusa al pubblico, ma non tutti hanno seguito la medesima sorte: l’Hotel Bellevue è sede del Municipio, mentre l’Azienda di Promozione Turistica ha sede nell’ex albergo Riviera Palace, del 1903. Sorprendente in questo scenario risulta la visione della Chiesa Ortodossa Russa, un frammento dell’epopea degli zar che ricorda nell’aspetto la cattedrale di San Basilio a Mosca. L’edificio di culto più rappresentativo di Sanremo è però la Basilica di San Siro. Costruita nel XII secolo in stile romanico-gotico e ristrutturata in epoca barocca, la chiesa, fra Ottocento e Novecento, venne riportata alle sue forme originarie eccezion fatta per il campanile, ricostruito dopo la mutilazione del 1753 in stile pseudo barocco. La parte moderna inizia da Corso Matteotti, il salotto buono della città, ed è qui che conviene andare se si vuole fare dello shopping nei negozi più eleganti e raffinati di Sanremo. Se poi oltre a gratificare i sensi si vuole tentare anche la sorte, non rimane che fare una puntata al Casinò: la fortuna aiuta gli audaci.
Bussana Vecchia. Il borgo rinato con l’arte
Nel 1887 un terribile terremoto scuote dalle fondamenta Bussana, un piccolo centro a otto chilometri da Sanremo. La maggior parte delle case crolla, le altre vengono abbandonate, e una nuova Bussana, più a valle, comincia a sorgere. Le vecchie case, ormai diroccate, vengono lasciate all’esuberanza della vegetazione. Bussana vecchia, come viene ribattezzata, diventa un paese fantasma. Fino agli anni ’60, quando da Clizia, un artista piemontese, venne lanciata l’idea della Comunità Internazionale degli Artisti da realizzarsi proprio lì, a Bussana vecchia. Pittori, scultori, scrittori e musicisti affluiscono da ogni parte d’Europa per stabilirvisi e vivere d’arte. Rialzano muri, ristrutturano case e aprono atelier e botteghe. In poco tempo il villaggio rinasce. Oggi è possibile inoltrarsi nelle sue stradine e, insieme a murales, sculture e artigianato, fare conoscenza con la più numerosa colonia di gatti della Riviera Ligure.